In un paese tradizionalista come l’Arabia Saudita vestire le donne può apparire una sfida a prima vista molto difficile per un brand italiano. Che peso hanno le differenze di sensibilità e di regole culturali?
“Bisogna distinguere tra la sfera pubblica e la sfera privata. Le donne arabe amano vestirsi bene quanto le donne italiane, dedicano molta attenzione all’abbigliamento, agli accessori che indossano e in generale alla cura del corpo e dell’aspetto esteriore. Certo, in ambito pubblico ci sono delle regole piuttosto severe in fatto di abbigliamento femminile. Ma nelle occasioni private le regole sono diverse e i comportamenti sono ovviamente molto più liberi. Detto questo, le differenze esistono e non vanno ignorate: noi adattiamo i nostri capi, in pratica li allunghiamo per rispettare la sensibilità e i gusti del pubblico locale”.
A questo proposito, a chi vi rivolgete? Qual è il vostro target?
“I mercati del Golfo in cui siamo presenti sono mercati ricchi. Il tenore di vita di larghe fasce della popolazione è piuttosto elevato ed esiste un'ampia clientela femminile con un'alta capacità di spesa. È questo il segmento al quale ci rivolgiamo. E non a caso i nostri punti vendita sono collocati all’interno di prestigiosi department stores di lusso. I nostri capi vengono considerati prodotti di fascia alta, per la qualità, lo stile, la cura dei dettagli. E non dobbiamo dimenticare che il made in Italy esercita un fortissimo appeal. Lo stile italiano è apprezzato in tutto il mondo e anche nei mercati arabi è molto ricercato”.
Dopo Emirati Arabi e Qatar, siete sbarcati da poco in Arabia Saudita. Ci racconta come siete riusciti a inserirvi nel department store di lusso Harvey Nichols di Riad.
“L’anno scorso abbiamo partecipato con Promos agli incontri d’affari organizzati a Milano durante EXPO. E in quell’occasione abbiamo incontrato diversi operatori stranieri, tra cui i vertici della società che gestisce Harvey Nichols Riad. La società fa capo ad un principe della famiglia reale saudita, che era presente agli incontri insieme al direttore generale. La moglie del principe saudita era in dolce attesa e quindi c’è stato subito un grande interesse per la nostra linea premaman. Abbiamo così potuto avviare i contatti che ci hanno portato in breve tempo all’apertura di un nostro corner shop all’interno del department store di Riad.
Come gestite i rapporti commerciali con i mercati arabi in cui siete presenti? Che difficoltà avete incontrato?
“Noi ci appoggiamo a un distributore italiano che distribuisce nei paesi arabi. È importante poter contare su un partner locale che conosca a fondo i mercati, che sappia muoversi nel contesto locale. Questo è a mio parere uno degli aspetti fondamentali per chiunque voglia operare in questi paesi. È spesso necessaria la presenza diretta in loco perché gli operatori arabi prediligono il rapporto personale e le relazioni costruite nel tempo, e quindi diventa fondamentale poter contare su un partner locale che possa garantire una presenza costante presidiando da vicino il mercato”.
Pietro Brunelli è oggi un brand con una forte presenza all’estero, dove realizza gran parte del proprio fatturato. Quali prospettive vede per il settore dell’abbigliamento e più in generale per i prodotti made in Italy nei mercati arabi del Golfo?
“Molte buone, ottime direi. Quelli del Golfo sono mercati ricchi e i prodotti di lusso e di alta gamma made in Italy hanno sicuramente grandi possibilità. Nel caso degli Emirati Arabi, penso a Dubai in particolare, la domanda di prodotti di fascia alta è alimentata, oltre che dalla popolazione locale, anche dai turisti e dai numerosi lavoratori stranieri, i cosiddetti expat che lavorano per le multinazionali e le grandi aziende occidentali. Noi stiamo ottenendo dei buonissimi risultati. I paesi arabi, insieme agli USA, sono i mercati in cui siamo cresciuti di più nell’ultimo periodo. E anche per il futuro vedo ottime prospettive. Le potenzialità ci sono, come dicevo prima è importante la gestione dei rapporti commerciali, è fondamentale selezionare bene i canali di vendita e gli interlocutori locali”.